Con il decreto lavoro il legislatore mette la parola “fine” alle assurde ed inverosimili sanzioni applicate dall’Inps, nel caso di tardivi od omessi versamenti delle ritenute operate ai dipendenti, cancellando così le esagerate sanzioni da 10mila a 50mila euro. Ciò che risulta strano è che, finora, anche a fronte di poche decine di euro di versamento omesso o eseguito in ritardo, l’Inps ha chiesto il pagamento di una sanzione di 17mila euro (50mila euro, riducibile a 17mila euro). Ed è quello che è capitato a molti contribuenti che, avendo omesso o pagato in ritardo le ritenute previdenziali e assistenziali, anche se di pochi euro, si sono visti recapitare ingiunzioni, con richiesta di sanzioni per 17mila euro, per ogni anno. A seguito delle contestazioni dei contribuenti, l’Inps lo scorso settembre ha “ridotto” in parte le sanzioni, rimodulando l’importo da applicare, consentendo l’applicazione del minimo di 10mila euro (invece di 17mila euro), con possibilità di ulteriore riduzione alla metà, cioè a 5mila euro. La conseguenza è che, ad esempio, nel caso di un contribuente che, per 6 anni, ha omesso o pagato dopo i termini versamenti di 50 euro per ogni anno, l’Inps ha applicato la sanzione 10mila euro per ogni anno, in totale 60mila euro, con possibilità di ulteriore riduzione alla metà, cioè a 30mila euro (5mila euro per 6). Il mini-ravvedimento dell’Inps, tuttavia, non era certo soddisfacente ed era comunque indispensabile l’intervento del legislatore per porre rimedio ad una simile sproporzione.
Risulta provvidenziale quindi l’intervento del legislatore che ha modificato la norma e stabilito che l’omesso pagamento delle ritenute sarà punito con una sanzione da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Il rimedio alle inverosimili sanzioni da 10mila a 50mila euro è previsto dal cosiddetto decreto lavoro, che ha apportato una correzione all’articolo 2, comma 1-bis, del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, disponendo la sostituzione delle parole “da euro 10.000 a euro 50.000” con le parole “da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso”. A seguito della predetta modifica, il nuovo comma 1 – bis del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, stabilisce che nei casi di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, per un importo omesso non superiore a 10mila euro annui, è applicabile la sanzione da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione, quando provvede al versamento delle ritenute entro 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione. In questo modo, nel caso sopra esemplificato del contribuente che, per 6 anni, ha omesso o pagato dopo i termini versamenti di 50 euro per ogni anno, l’Inps, invece di applicare la sanzione di 10mila euro per ogni anno, in totale 60mila euro, con possibilità di ulteriore riduzione alla metà, cioè a 30mila euro, applicherà la sanzione da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Con la sanzione minima di una volta e mezza, sull’importo totale di 300 euro (50 euro per sei anni), la sanzione sarà di 450 euro e non di 30mila euro.
Le sanzioni devono rispettare i principi di proporzionalità espressi sempre più di frequente, in modo univoco e consolidato, anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha affermato, in modo lineare e ineccepibile, la necessità che sussista equilibrio tra gravità delle infrazioni e le sanzioni comminate. In materia di sanzioni tributarie, in caso di versamento tardivo delle imposte, come insegna la Cassazione, sentenza n. 3080, pubblicata il primo febbraio 2019, “la fattispecie concreta costituisce comunque una violazione della normativa d’imposta, ma va “derubricata” in violazione meramente formale, essenzialmente consistente in un ritardo nel versamento del dovuto”. Nella richiamata sentenza della Cassazione, si afferma categoricamente che “quanto al trattamento sanzionatorio” in materia tributaria, la Corte di giustizia europea, con la sentenza C – 272/13, ha sancito che la sanzione “deve rispettare il principio di “proporzionalità” (punti 34 ss.) affermando altresì che la previsione interna (30% dell’importo dell’imposta… può, almeno in astratto, considerarsi “sproporzionata” e che quindi deve essere il giudice nazionale a determinarla in concreto al fine di renderla “proporzionata”)”. È evidente che questi principi espressi dalla Corte di giustizia europea, e ribaditi dai giudici di legittimità, valgono anche per le sanzioni in materia previdenziale. Come si è detto, grazie al decreto lavoro, il legislatore ha cancellato le mostruose sanzioni finora applicate, uniformandosi ai principi di “proporzionalità” più volte espressi dalla Corte di giustizia europea e dai giudici di legittimità.
Nel rispetto del principio del “favor rei” “Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato” (articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che ha per titolo “principio di legalità”). Al riguardo, è importante quanto affermato nella relazione governativa al decreto legislativo 472/97, nella parte in cui, illustrando il principio del favor rei, si legge che “nel caso di violazione non più sanzionata, il provvedimento, ancorché definitivo, non costituisce titolo per la riscossione delle somme non ancora pagate”. Ne consegue che, nel rispetto del principio del favor rei, la nuova norma vale anche per il passato, con la conseguenza che, invece di pagare le assurde ed inverosimili sanzioni finora applicate, si dovranno pagare le nuove sanzioni da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Il principio del “favor rei” trova applicazione:
• sia nei casi in cui la legge posteriore si limita ad abolire la sola sanzione, lasciando in vita l’obbligatorietà del comportamento prima sanzionabile;
• sia nell’ipotesi in cui viene eliminato l’obbligo strumentale e, quindi, indirettamente, la previsione sanzionatoria.
In proposito, la circolare 180/E del 10 luglio 1998, nel commentare il comma 2 dell’articolo 3 del decreto legislativo 472/1997, avverte che in sintesi “se diviene lecito un comportamento posto in essere nella vigenza di una norma che in precedenza lo sanzionava, può accadere che, al momento dell’abolizione:
a) la sanzione non è stata ancora irrogata;
b) la sanzione è stata irrogata, ma l’obbligato non ha ancora pagato alcuna somma;
c) l’obbligato ha pagato in tutto o in parte la sanzione in dipendenza di un provvedimento non ancora definitivo;
d) l’obbligato ha pagato in tutto o in parte la sanzione a seguito di provvedimento definitivo.
Nel primo caso (a) nessuna sanzione può essere irrogata; nel secondo (b) nessuna somma può essere pretesa; nel terzo (c) la somma versata va restituita; nel quarto (d) la somma versata non può essere restituita”.
Si può perciò affermare che la legge che sopprime un adempimento superfluo esclude che la passata inosservanza della formalità bocciata possa essere: rilevata; sanzionata per vicende tramontate; posta in riscossione. Al riguardo, è importante quanto affermato nella relazione governativa al decreto legislativo 472/1997, nella parte in cui, illustrando il principio del favor rei, si legge che “nel caso di violazione non più sanzionata, il provvedimento, ancorché definitivo, non costituisce titolo per la riscossione delle somme non ancora pagate”.
Saranno però penalizzati i contribuenti che hanno pagato la vecchia sanzione perché le somme versate non possono essere restituite.