La risposta dell’Agenzia delle Entrate n. 330 del 2023 torna ad affrontare il tema della deducibilità dei compensi riconosciuti all’organo amministrativo per l’esercizio delle proprie funzioni. L’Amministrazione finanziaria affronta la particolare fattispecie in cui sia previsto un obbligo di reversibilità del compenso a carico del percettore. Nel rispetto dei suoi presupposti, ovvero la presenza di una delibera dell’assemblea dei soci che ne preveda la spettanza e ne determini l’entità, la deducibilità del compenso dell’amministratore è salva, anche nelle fattispecie in cui per espressa disposizione di legge non costituisce reddito imponibile per il suo percettore.
Ai sensi dell’articolo 95, comma 5, del TUIR, i compensi spettanti agli amministratori delle società e degli enti di cui all’articolo 73, comma 1, del predetto testo unico, sono deducibili nell’esercizio in cui sono effettivamente corrisposti, secondo il cosiddetto criterio di cassa “puro”. Di pari, in via simmetrica, i medesimi compensi, assimilati ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera c-bis) del TUIR ai redditi di lavoro dipendente, concorrono alla formazione del reddito imponibile del suo percettore nel periodo d’imposta in cui sono incassati, ma secondo il criterio cassa “allargata”.
In particolare, dal punto di vista dell’amministratore, si considerano percepite nel periodo d’imposta le somme corrisposte entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello a cui si riferiscono. In via ordinaria, pertanto, potrebbe venirsi a creare uno sfasamento temporale, un’asimmetria, fra i tempi dell’imponibilità e quelli della deducibilità. Infatti se il compenso di dicembre è erogato entro il dodicesimo giorno dell’anno successivo, ipotizziamo il 10 gennaio 2023, questo sarà imputato nel 2022 per il percipiente, nel 2023 per la società erogante.
Con la risposta in commento l’Amministrazione finanziaria affronta una fattispecie estrema in cui l’asimmetria non è temporanea, ma definitiva, ovvero il caso in cui il compenso è deducibile per la società, ma non è imponibile per l’amministratore. Si tratta del compenso “reversibile”, ovvero della situazione in cui, per clausola contrattuale, l’emolumento percepito deve essere riversato ad un soggetto terzo, nel caso di specie una società consociata in cui l’amministratore medesimo risulta quale lavoratore dipendente.
Ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera e), del TUIR, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente i compensi reversibili di cui alle lettere b) ed f) del comma 1 dell’articolo 50 del TUIR, ovvero: le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità, per i quali è previsto contrattualmente il riversamento a favore del datore di lavoro o imposta per legge la destinazione a favore dello Stato; le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato e dagli enti locali per l’esercizio di pubbliche funzioni, sempre che le medesime prestazioni non siano rese da soggetti nell’esercizio di impresa, arte o professione.
Secondo l’Amministrazione finanziaria i compensi reversibili non devono essere assoggettati a tassazione, in quanto sono imputati direttamente al soggetto al quale, per clausola contrattuale, devono essere riversati (nel caso di specie la società consociata in cui l’amministratore risulta lavoratore dipendente). Nessuna ritenuta, inoltre, deve essere effettuata dalla società erogante. Ciò, evidentemente, a condizione che risulti documentato l’effettivo riversamento alle società ed enti destinatari dei compensi medesimi, ovvero l’assenza di disponibilità dal parte del percepente delle somme erogate in ragione dell’incarico svolto.
Per quanto riguarda la società erogante, in deroga al generale principio di simmetria fiscale, le somme sono deducibili, ma secondo il generale criterio di competenza di cui all’articolo 109 del TUIR. Da quest’ultimo punto di vista, infatti, recenti pronunce della Corte di Cassazione (Cass. n. 2067 del 2021, Cass. n. 22479 del 2020) hanno riqualificato il compenso reversibile quale corrispettivo per l’utilità ricevuta, consistente nella fruizione dell’attività di gestione societaria espletata dalla risorsa umana messale a disposizione. Per questo motivo, sotto il profilo tributario, quanto erogato non è immediatamente riconducibile alla fattispecie del compenso riconosciuto a favore dell’amministratore, mancando l’effettiva erogazione di somme di denaro, a tale titolo, a colui che ha svolto l’attività gestoria. Si tratta di un onere di diversa natura, per questo motivo non soggetto al regime di cassa di cui all’articolo 95 del TUIR, ma a quello di competenza economica di cui all’articolo 109 del medesimo testo unico.