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COVID-19: LA GESTIONE DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE IN UN PROTOCOLLO

07 Apr 2021

Per favorire la diffusione di informazioni per i tecnici e le aziende, ci soffermiamo su un documento prodotto da Aicarr (Associazione Italiana Condizionamento dell’Aria Riscaldamento e Refrigerazione)- dal titolo “Protocollo per la riduzione del rischio da diffusione del SARS-CoV-2 nelle operazioni di gestione e manutenzione degli impianti di climatizzazione e ventilazione esistenti” – per dare agli operatori del settore utili indicazioni su come operare sugli impianti esistenti.

Il protocollo, la trasmissione del virus, la climatizzazione e la ventilazione
Il Protocollo Aicarr è suddiviso in tre sezioni principali “con le seguenti finalità:
• fornire informazioni di carattere generale, di inquadramento della problematica, per poi passare alle tipologie impiantistiche presenti negli edifici e alle loro specificità in funzione della destinazione d’uso in cui sono chiamati a operare;
• fornire indicazioni aggiuntive rispetto alle normali operazioni di ordinaria gestione e manutenzione degli impianti, al fine di tenere conto delle nuove e più stringenti condizioni di funzionamento o delle eventuali modifiche impiantistiche incorse durante questa recente fase di pandemia;
• fornire indicazioni sulle strategie di pulizia e disinfezione di ogni sezione dell’impianto oggetto di intervento”.

Si segnala che il documento si basa sulle ultime evidenze scientifiche e sulle prassi disponibili per la riduzione del rischio di propagazione per via aerea (aerosol) del SARS-CoV-2 “tramite un impiego corretto degli impianti di climatizzazione ambientale e di ventilazione”.
Le indicazioni fornite “sono basate sul principio della massima sicurezza (oppure cautela), quindi senza una distinzione a priori in base alla tipologia specifica e vetustà degli impianti o della loro qualità progettuale, installativa, dei loro componenti e del livello di gestione e manutenzione”.

Il documento ricorda che le modalità di trasmissione del SARS-CoV-2 da persona a persona “sono principalmente tre:
1. per contatto ravvicinato e diretto con una persona infetta;
2. per inalazione di goccioline liquide prodotte dalla persona infetta;
3. tramite contatto con superfici contaminate dal virus”.
E ai fini delle modalità di trasmissione “è determinante il fatto che le persone infette tossendo, starnutendo, parlando e respirando emettono goccioline di liquido infettate con il virus (droplets) di dimensioni maggiori a 5 μm di diametro, che possono:
• propagarsi a breve distanza, depositandosi sulle superfici vicino alla persona infetta e quindi essere poi riprese da chi tocca tali superfici (contatto indiretto);
• essere inalate da chi si trova vicino alla persona infetta o in un ambiente contaminato”.

In particolare il contatto diretto con le secrezioni respiratorie “sembra essere, in queste situazioni, la principale via di trasmissione; a oggi le fonti ufficiali riportano evidenze della possibile trasmissione per via aerea tramite particelle inferiori ai 5 μm di diametro (‘droplet nuclei’, derivanti dall’essiccamento delle droplets più grandi) o particelle di polveri contenenti l’agente infettivo (al contrario delle droplets, quest’ultime possono rimanere nell’aria per lunghi periodi di tempo e percorrere, trasportate da moti turbolenti, diversi metri) in condizioni particolari come quelle ospedaliera o assimilate. In tali ambienti l’esecuzione di alcune procedure può in realtà generare aerosol (come ad esempio l’esecuzione di tampone rino-faringeo, intubazione tracheale, aspirazione bronchiale, broncoscopia, induzione dell’espettorato, rianimazione cardiopolmonare)”.

Chiaramente, al di là della rimozione di ogni possibile fonte di contaminazione, “l’unica modalità utile a contenere un eventuale rischio di infezione da SARS-CoV-2 per via aerea connessa alla presenza di aerosol infetto è quella di trattare gli ambienti interni tramite una adeguata immissione di aria priva di contaminazione”.

A questo proposito il documento indica che:
• “allo stato delle conoscenze attuali l’aria esterna è considerata priva di contaminazione e pertanto l’aerazione (ventilazione naturale ottenuta tramite apertura di serramenti) viene comunque considerata, ove possibile, una buona pratica ai fini della riduzione del rischio;
• gli impianti di ventilazione meccanica e gli impianti di climatizzazione ambientale che svolgono anche la funzione di ventilazione possono assolvere tale funzione in modo più efficace della semplice apertura delle finestre, anche perché sono in grado di migliorare la qualità dell’aria esterna con la filtrazione e garantire un ricambio d’aria costante nel tempo”.
In questo senso in presenza di impianti di ventilazione meccanica “le azioni atte a massimizzare la quantità di aria esterna immessa risultano quindi in generale consigliate, tuttavia, per ragioni strettamente energetiche e a seguito di valutazioni di tipo puntuale relative alle tipologie impiantistiche e alla tipologia di ambienti serviti, può risultare opportuno valutare oltre all’immissione di aria esterna anche l’utilizzo di aria ricircolata localmente o a livello centralizzato, integrando ove necessario tramite un idoneo sistema di abbattimento della contaminazione”.

Il documento suggerisce poi, in funzione della tipologia di impianto esistente, “alcune operazioni di gestione e manutenzione, anche straordinarie, che consentano di far operare gli impianti in linea con le attuali disposizioni emergenziali”.

Climatizzazione e ventilazione: lo scenario degli ambienti industriali
Il documento presenta poi alcuni criteri generali (riduzione della concentrazione, diluizione con aria esterna, filtrazione, bio aerosol, …) e introduce il concetto di scenario, cioè “il contesto generale entro il quale l’impianto viene chiamato a funzionare”. In questi scenari si possono considerare “aspetti che vanno al di là della semplice valutazione dei carichi termici e contaminanti, andando ad esempio a disquisire sulla distribuzione delle sorgenti, sulla presenza o meno di zone da favorire, su una valutazione generale dei transiti d’aria tra zone differenti e all’interno delle stesse zone. Un altro fattore rilevante è inoltre legato alle tempistiche relative alle attività, alle loro connotazioni dal punto di vista dell’impegno metabolico degli occupanti e agli aspetti dinamici degli ambienti trattati”.

Ci soffermiamo ora su quanto indicato per gli ambienti industriali.

Si indica che gli ambienti industriali “sono caratterizzati in generale da edifici con ampi volumi e più o meno ridotta concentrazione di persone, a seconda del livello di automazione e della tipologia produttiva”.
In linea di massima – continua il documento – “il ridotto livello di occupazione implica sistemi impiantistici il cui apporto di aria esterna da progetto non è basato sul numero di persone bensì da un esame specifico delle caratteristiche di emissione di inquinanti dei processi produttivi presenti o semplicemente un parametro di rinnovo legato ad un prefissato numero di ricambi orari. È inoltre frequente, in caso di processi produttivi potenzialmente impattanti sulla qualità dell’aria, l’adozione di sistemi di estrazione localizzata atti ad ottimizzare lo smaltimento degli inquinanti localmente e a ridurre le necessità di ventilazione generale con aria esterna. Al di là delle quote di aria di rinnovo, gli impianti di climatizzazione per applicazioni industriali possono essere in generale supportati da aerotermi, strisce radianti oppure in caso di supporto al raffrescamento ingenti quote di aria di ricircolo su impianti tutt’aria mono zona dedicati a specifici capannoni”.

Si segnala che “ai fini della considerazione delle portate di diluizione, l’utilizzo di un criterio volumi/ora applicato a grandi spazi con poche persone conduce ad una elevata portata pro capite e di conseguenza ad una riduzione del rischio. Tale riduzione deve tuttavia essere valutata anche alla luce della capacità dei sistemi di diffusione di miscelare correttamente su tutto il volume servito secondo una logica di perfetta miscelazione o in caso di sistemi più evoluti di dislocamento o quelli definiti per movimentazione indotta (o pulsione)”.
In ogni caso – continua il documento – “risulterà fondamentale la valutazione del ruolo del ricircolo e del possibile contributo dei sistemi di abbattimento tramite filtrazione o altro al fine di identificare le corrette modalità di gestione degli impianti a servizio degli ambienti industriali”.

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