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LA VALUTAZIONE DEI RISCHI E IL DVR PER AZIENDE FINO A 10 DIPENDENTI

19 Mag 2021

In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l’obbligo giuridico di analizzare ed individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno della propria azienda e, all’esito, redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi (DVR) anche con riguardo alle aziende che occupino fino a dieci addetti. E’ un orientamento quello che emerge dalla lettura di questa recente sentenza della Corte di Cassazione ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità e che la stessa Corte ha già espresso in precedenti sentenze fra le quali ha citato la sentenza della III Sezione penale n. 23968 del 15/06/2011, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ La Cassazione sull’autocertificazione della valutazione dei rischi”.
In quella circostanza era ancora in vigore la facoltà di autocertificare la valutazione dei rischi e la suprema Corte, nel rigettare il ricorso presentato da un datore di lavoro contravvenzionato per non avere redatto il documento di valutazione dei rischi, ebbe modo di sostenere che autocertificare la effettuazione della valutazione dei rischi non significasse che il datore di lavoro non debba provvedere ad effettuare la valutazione dei rischi secondo le modalità stabilite dalla legge ma che una volta effettuata tale valutazione il datore di lavoro è tenuto comunque ad elaborare con l’autocertificazione un documento dal contenuto sia pure meno analitico.
In questa occasione invece il datore di lavoro ha sostenuto a propria difesa di avere fatto redigere il DVR da un geometra con l’ausilio del medico competente, anche per ottemperare alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza, e che lo stesso DVR, in particolare, occupando la sua azienda sino a dieci dipendenti, era stato elaborato conformemente alle procedure standardizzate di cui all’art. 6, comma 8, lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008 ed alle prescrizioni previste dal medesimo decreto e dall’allegato XXXIII con riguardo alla movimentazione manuale dei carichi.

Il fatto, la condanna, il ricorso e le motivazioni
Il Tribunale, all’esito del dibattimento celebrato a seguito di opposizione a decreto penale, ha condannato il datore di lavoro di un’azienda alla pena di 2.000,00 euro di ammenda per il reato di cui agli artt. 29, primo comma, e 55, comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 81 del 2008 per non avere elaborato un congruo documento di valutazione dei rischi in relazione al rischio presente in un cantiere edile dovuto alla movimentazione manuale dei carichi, con particolare riguardo agli arti superiori, e per avere omesso di indicare le misure preventive da adottarsi nelle specifiche situazioni.
Avverso la sentenza del Tribunale l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 29 comma 1, 28 comma 2 lett. a) e 168 comma 3 del D. Lgs. n. 81 del 2008 nonché il vizio di motivazione. Lo stesso si era lamentato, in particolare, perché, cercando anche di ottemperare alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza, aveva fatto redigere il DVR da un geometra, con l’ausilio del medico competente che, trattandosi in particolare di azienda che occupava sino a dieci dipendenti, era conforme alle procedure standardizzate di cui all’art. 6 comma 8 lett. f) del D. Lgs. n. 81 del 2008 ed alle prescrizioni previste dal medesimo decreto e dall’allegato XXXIII, con riguardo alla movimentazione manuale dei carichi. Secondo lo stesso ricorrente altresì, non essendovi norme tecniche particolari da applicarsi, era stato necessario fare riferimento alle “buone prassi” e alle “linee-guida” definite all’art. 2 comma 1 lett. v) e z) dello stesso decreto legislativo.

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Cassazione perché manifestamente infondato in diritto e proposto per motivi generici e concernenti la valutazione del fatto, non deducibili in sede di legittimità.
Quanto alla contestazione che era stata fatta al ricorrente la suprema Corte ha messo in evidenza come, in tema di prevenzione degli infortuni, secondo il consolidato orientamento della stessa il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l’obbligo giuridico di analizzare ed individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008 all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del suddetto documento, ha aggiunto la Sezione III, non esonera comunque il datore di lavoro dall’obbligo di verificarne la sua adeguatezza e efficacia.
Il reato previsto dall’art. 29, quinto comma, del D. Lgs. n. 81/2008, che si pone in continuità normativa con la previsione di cui all’art. 4 comma secondo del D. Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, ha precisato la suprema Corte, punisce l’omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori da parte del datore di lavoro anche con riguardo alle aziende che occupino fino a dieci addetti, in quanto le modalità semplificate di adempimento degli obblighi in materia di valutazione dei rischi, previste per tali aziende, non esonerano il datore di lavoro dall’obbligo di predisporre e tenere il predetto documento, e ha citato come precedente espressione in tal senso la sentenza n. 23968 del 03/03/2011 della Sezione III penale, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ La Cassazione sull’autocertificazione della valutazione dei rischi”. Anche in queste ipotesi, infatti, ha precisato la suprema Corte, le modalità pur semplificate di adempimento dell’obbligo di valutazione richiedono l’individuazione degli specifici pericoli cui i lavoratori sono sottoposti e la specificazione delle misure di prevenzione da adottarsi.
Il contenuto qualificante e minimo del DVR, ha altresì sottolineato la Sez. III, deve quantomeno contemplare, a norma dell’art. 28, comma 2 lett. a) e b) del D. Lgs. n. 81/2008, una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa e l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati.
La sentenza impugnata, ha precisato ancora la Cassazione, con una valutazione di merito non sindacabile, aveva attestato che il DVR, pur dopo le prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza per ovviare alla ancor più marcata inadeguatezza di un originario documento esibito, si era limitata ad elencare del tutto genericamente i fattori di rischio concernenti la movimentazione manuale dei carichi, senza specificare gli interventi atti a ridurre od eliminare gli stessi, sì che l’adempimento normativo era privo di qualsiasi concreta portata. La lamentela avanzata dal ricorrente si era limitata a contestare tale valutazione, che, tuttavia, ha evidente natura di merito e non può essere sindacata in sede di legittimità.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3000 euro in favore della Cassa delle Ammende.

 

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