Un rapporto ISS per la prevenzione e gestione degli ambienti indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2 riporta misure generali per gli ambienti lavorativi. Ricambio dell’aria, ventilazione e unità di trattamento.
Come ricordato in precedenti documenti dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), una delle conseguenze non negative dell’emergenza COVID-19 è l’aumento della consapevolezza dell’importanza della qualità dell’aria indoor soprattutto negli ambienti lavorativi, in sintonia con le nuove esigenze sanitarie di tutela della salute negli ambienti chiusi e con riferimento anche a vari documenti e strategie di prevenzione (Piano Nazionale Prevenzione, Agenda 2030 delle Nazioni Unite, …).
In questo periodo la necessità di apportare un livello di miglioramento obbligatorio della qualità dell’aria ha costituito, dunque, una “importante opportunità” per affrontare “con maggiore consapevolezza, alcuni temi cruciali e di grande attualità, fino ad oggi troppo spesso trascurati”.
Qualità dell’aria e covid-19: le misure per gli ambienti lavorativi
Il Rapporto n. 11/2021, a cura del Gruppo di Lavoro ISS Ambiente e Qualità dell’Aria Indoor, ricorda che sul piano operativo, con l’aggiornamento e l’applicazione dei “protocolli anti-contagio” “sono state implementate, e messe in atto, strategie organiche, che tengono conto delle misure essenziali di contenimento e contrasto alla diffusione della pandemia, per rispondere alle esigenze di salvaguardia della salute sia per il personale, sia per i fruitori/pubblico, sia per quelle figure impegnate nelle varie attività (imprese di pulizia, manutenzioni, fornitori), compreso il programma di vaccinazione dei lavoratori”.
Dopo aver riassunto queste strategie, correlate ai protocolli anticontagio, vengono riportati alcuni “consigli, azioni e raccomandazioni generali da mettere in atto giornalmente per continuare a limitare ogni forma di diffusione del virus SARS-CoV-2 e delle sue varianti, che devono far parte di una strategia integrata di prevenzione e mitigazione del rischio (non singole azioni a sé stanti) per il mantenimento di una buona qualità dell’aria indoor negli ambienti di lavoro, all’interno di edifici”.
Ad esempio si indica che bisogna “garantire un buon ricambio dell’aria con mezzi naturali o meccanici in tutti gli ambienti e aree dove sono presenti persone e nelle postazioni di lavoro, con l’obiettivo generale di migliorare con continuità l’apporto di aria primaria esterna e favorire l’apertura di finestre e balconi. Il principio generale è quello di apportare, il più possibile aria esterna outdoor all’interno degli ambienti e delle aree di lavoro, aria ‘fresca più pulita’ e, contemporaneamente, diluire/ridurre le concentrazioni di inquinanti specifici (es. COV, PM10, odori, batteri, virus, allergeni, funghi filamentosi [muffe], ecc.), di CO2, di umidità relativa presenti nell’aria, e, conseguentemente, del rischio di esposizione per il personale e gli utenti/pubblico nell’edificio”.
Qualità dell’aria e COVID-19: l’importanza della ventilazione
Si sottolinea che “scarsi ricambi d’aria favoriscono, negli ambienti indoor, l’accumulo e l’esposizione a inquinanti che possono facilitare la trasmissione di agenti patogeni tra i lavoratori e gli utenti/fruitori”.
In ogni caso il ricambio dell’aria “deve tener conto delle caratteristiche dell’edificio, delle sue dimensioni e dell’ampiezza di ambienti, aree e locali, del numero e dell’età di lavoratori e utenti/fruitori presenti, del tipo di attività svolta, della durata di permanenza negli ambienti e nelle aree, per prevenire gli effetti sulla salute”.
È evidente poi che l’areazione/ventilazione naturale degli ambienti “dipende da numerosi fattori, quali i parametri meteorologici esterni (es. temperatura dell’aria esterna, direzione e velocità del vento), e parametri fisici quali superficie e posizione delle finestre e durata della loro apertura. Questo parametro viene percepito negativamente da coloro che, soprattutto durante la stagione fredda, permangono in ambienti indoor e influenza la qualità dell’aria. Infatti, si ritiene che non aprire le finestre o i balconi consenta di evitare situazioni di discomfort termico e riduca i consumi energetici. Diversamente, questi comportamenti non favoriscono le condizioni di salubrità dell’aria indoor. È certamente opportuno evitare durante il ricambio naturale dell’aria la creazione di condizioni di disagio/discomfort (correnti d’aria o freddo/caldo eccessivo) per il personale e gli utenti. Pertanto, si consiglia, dove possibile, di migliorare la disposizione delle postazioni di lavoro per assicurare che il personale e gli utenti non siano direttamente esposti alle correnti d’aria o al freddo/caldo eccessivo. Nel periodo invernale, dove la differenza di temperatura tra l’interno e l’esterno è più marcata, possono bastare pochi minuti di apertura per fornire la stessa quantità d’aria; a differenza del periodo estivo che necessita di tempi più lunghi”.
Si indica poi che negli edifici che “non dispongono di specifici sistemi di ventilazione, è più opportuno aprire leggermente finestre e balconi che si affacciano sulle strade meno trafficate, durante i periodi di minore passaggio di mezzi, soprattutto quando l’edifico è collocato in una zona trafficata. In generale, si raccomanda di evitare di aprire finestre e balconi durante le ore di punta del traffico o di lasciarle aperte la notte (opzione che può essere valida durante le giornate di alte temperature estive o nei periodi delle ondate di calore, ma assicurandosi che non rappresenti un rischio per la sicurezza). È preferibile aprire per pochi minuti più volte al giorno effettuando una ventilazione intermittente e incrociata (effetto diluizione), piuttosto che una sola volta per tempi prolungati”.
Qualità dell’aria e COVID-19: unità di trattamento aria e ventilazione
Riguardo poi agli edifici dotati di specifici impianti di ventilazione UTA/VMC (Unità di Trattamento d’Aria/Unità di Ventilazione Meccanica Controllata), correttamente progettati, che “movimentano aria esterna (outdoor) attraverso motori/ventilatori e la distribuiscono attraverso condotti e griglie/diffusori posizionati a soffitto, sulle pareti o a pavimento, consentendo il ricambio dell’aria in tutte le aree/ambienti occupati dell’edificio, questi impianti, laddove i carichi termici lo consentano, possono mantenere attivi l’ingresso e l’estrazione dell’aria 24 ore su 24, 7 giorni su 7, anche riducendo i tassi di ventilazione nelle ore notturne e nei fine settimana di non utilizzo dell’edificio e/o gli orari di accensione.
Il consiglio – continua il documento – è di “mantenere lo stesso livello di protezione eliminando, ove è possibile, la funzione di ricircolo dell’aria per evitare l’eventuale trasporto di agenti chimici e biologici (es. batteri, virus, ecc.) accumulati nell’aria, favorendo così anche la riduzione della contaminazione dal virus SARS-CoV-2 e proteggendo i lavoratori, i clienti, i fruitori e i visitatori anche a scapito di un minor comfort termico”.
Moltissimi impianti “sono stati progettati con una quota di ricircolo dell’aria (misura esclusivamente legata alla riduzione dei consumi energetici dell’impianto)”; in tale contesto “è chiaramente necessario aumentare in modo controllato l’aria primaria in tutte le condizioni”.
Si segnala che nel pacchetto di norme UNI EN 16798, nella UNI 10339 e nelle “Linee Guida Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro. Requisiti standard. Indicazioni operative e progettuali”, sono indicati i “flussi di ventilazione minimi da utilizzare per la ventilazione naturale e per gli impianti di ventilazione meccanica”.
E si ricorda poi che “una efficace ventilazione rappresenta un’azione necessaria per ottenere e mantenere una buona qualità dell’aria indoor e che nessun sistema di ventilazione UTA/VMC può eliminare da solo tutti i rischi”.