La scorsa settimana in risposta ad un interpello l’Agenzia delle Entrate ha chiarito i limiti della detassazione dei contributi e trattamenti di integrazione guadagni erogati a seguito dell’emergenza COVID 19.
Nel quesito l’impresa istante chiedeva di valutare se le 2 misure agevolative (Cassa Integrazione Guadagni in Deroga e finanziamenti bancari assistiti da garanzia dello Stato), fruite a seguito dello stato di emergenza pandemica, rientrino nell’ambito oggettivo di applicazione del regime di detassazione generale COVID¬19 introdotta dall’articolo 10¬bis del Decreto Legge n. 137 del 2020.
In particolare osservava che la norma è applicabile indipendentemente dalla modalità di contabilizzazione, quindi anche nel caso in cui il costo e/o il debito ridotto (o azzerato), e il corrispondente contributo in conto esercizio, non siano stati rilevati in contabilità.
Sosteneva inoltre che la CIG straordinaria COVID¬19, rappresenta un aiuto, oltre che per i dipendenti, anche per le imprese, dunque idoneo a soddisfare i requisiti del citato articolo 10¬bis in quanto ha «consentito al datore di lavoro di poter estinguere in maniera satisfattiva l’obbligazione del pagamento dei salari nei confronti dei dipendenti, facendo venir meno la necessità di rilevare un debito correlato al pagamento dei salari e degli stipendi dei dipendenti nel corso del periodo emergenziale».
ln conclusione considerava che gli aiuti fruiti, entrambi erogati attraverso ”la riduzione di un costo”, grazie all’intervento statale, possano essere oggetto di detassazione ai fini IRES e IRAP, da attuare indicando un importo corrispondente al valore dei rispettivi aiuti, nonostante gli stessi non siano stati erogati mediante accredito su conto corrente e non siano stati contabilizzati a conto economico.
Il parere dell’Agenzia sulla soluzione proposta è negativo.
Viene precisato che l’articolo 10¬bis del decreto ¬legge 28 ottobre 2020, n. 137 (cd. decreto Ristori), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, ha previsto che «I contributi e le indennità di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID¬19 e diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza, da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione, spettanti ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte suir edditi e del valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917».
Si tratta dunque, per i ”contributi” e ”indennità” di qualsiasi natura, erogati in via eccezionale, di un regime generalizzato di irrilevanza fiscale ai fini delle imposte, in favore di tutti i soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché dei lavoratori autonomi.
L’agenzia sottolinea che nel rispetto dello spirito della norma, deve trattarsi in ogni caso di sostegni economici strettamente connessi all’emergenza e, come richiesto espressamente dal citato articolo 10bis, «diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza».
Inoltre la ratio della detassazione secondo le Entrate era di evitare in via generalizzata che gli effetti positivi derivanti dall’erogazione dei contributi COVID¬19¬ venissero depotenziati dall’incidenza della tassazione.
Quindi è presupposto imprescindibile, la circostanza che al soggetto destinatario sia assegnato un beneficio che comporti:
• un ”vantaggio economico” effettivo e quantificabile che la norma indica in maniera generica come ”contributo” o ”indennità”¬ , come ad esempio una integrazione di ricavi oppure
• in una partecipazione (totale o parziale) al sostenimento di determinati costi, purché rimasti ”a carico” dal soggetto beneficiario.
Nel caso di specie invece il fatto che la Cassa integrazione ponesse a carico dell’INPS la retribuzione del lavoratore non rappresenta un ”contributo in conto esercizio” dell’impresa inteso in senso tecnico come ”ristoro” di costi sostenuti ma un mancato costo sul quale l’applicazione dell’articolo 10¬bis genererebbe un effetto agevolativo ”ulteriore” rispetto a quello alla base della ratio della norma.
Analoghe considerazioni possono essere svolte sulla seconda misura agevolativa oggetto del quesito, l’articolo 1 del decreto legge n. 23 del 2020, finalizzata ad agevolare l’accesso a finanziamenti, garantiti al 100% dallo Stato: in questo caso l’imprenditore interessato deve sostenere un costo comprensivo di interessi, commissioni ecc., che già nasce decurtato dagli oneri che ordinariamente sarebbero sostenuti dall’imprenditore.
Di conseguenza, l’applicazione anche dell’articolo 10¬bis genererebbe a beneficio dell’impresa un effetto agevolativo ulteriore.
Nessuna delle 2 misure agevolative sopra descritte, dunque rientra nell’ambito di applicazione del regime di detassazione dei ”contributi Covid¬19”, in quanto manca il presupposto oggettivo, vale a dire l’erogazione di un ”contributo” a riduzione del ”costo sostenuto” dalla società.