Il tema della deducibilità e della detraibilità in capo alle aziende e ai professionisti dei costi, prima per l’acquisto e poi per la manutenzione, dei veicoli aziendali, che dal punto di vista civilistico non presenta rilevanze, dal punto di vista fiscale rappresenta uno di quegli snodi sensibili su cui si è concentrata l’attenzione del legislatore, della giurisprudenza e della prassi.
La motivazione è delle più semplici e, per una volta, non priva di fondamento: storicamente, il contribuente italiano non si è lasciato sfuggire il vantaggio fiscale che poteva acquisire dall’attrarre al reddito d’impresa, o a quello professionale, i costi d’acquisto e di manutenzione di un veicolo, anche se utilizzato, poi, nella pratica, a titolo personale.
Questo ha dato il via ad una produzione normativa, sempre più restrittiva, che ha limitato la deducibilità e la detraibilità dei costi d’acquisto dei veicoli, e di conseguenza, delle relative spese di manutenzione.
Una volta inquadrata una fattispecie come foriera di elusività, diventa difficile, per giurisprudenza e prassi, non dare il proprio apporto in termini ancora più restrittivi.
In questo contesto si inserisce l’ordinanza della Corte di Cassazione (civile) numero 27116, pubblicata il 27 novembre 2020, che di fatto da un doppio giro di vite, in senso limitativo, alla deducibilità delle spese di manutenzione e riparazione degli automezzi aziendali.
L’Agenzia delle Entrate aveva contestato ad una società la deduzione di costi subordinati relativi ai veicoli aziendali (nel caso specifico l’acquisto di pneumatici, e spese di manutenzione e riparazione), in quanto ritenuti privi dei requisiti dell’inerenza e della certezza, per il solo fatto che nelle fatture relative a tali acquisti non risultava indicata la targa dei veicoli di riferimento.
La Corte di Cassazione, accogliendo di fatto il punto di vista della prassi, con l’ordinanza in oggetto, afferma un principio ed un fatto, in tema di deduzione dei costi di manutenzione e riparazione dei veicoli aziendali.
In via prioritaria stabilisce il principio che “la prova dell’inerenza di un costo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa […] incombe sul contribuente” e, di conseguenza, qualora “sia contestato dall’Amministrazione finanziaria il difetto di inerenza della spesa è onere del contribuente offrire la dimostrazione della correlazione del costo sostenuto con l’attività d’impresa in concreto esercitata”: questo, di fatto, rappresenta una inversione dell’onere della prova in caso di contestazione di un costo. Secondo la corte, per un costo presumibilmente deducibile, nel caso in cui venga contestata la sua inerenza, graverà sul contribuente dover dimostrare che invece lo sia. Tale principio, di fonte tutta giurisprudenziale, rappresenta una notevole agevolazione per il Fisco, in sede di contenzioso.
In conseguenza di questo principio, la corte accoglie il punto di vista dell’Agenzia delle Entrate e stabilisce il fatto che: qualora, per spese di manutenzione e di riparazione di autoveicoli aziendali, non sia indicata in fattura la targa del veicolo di riferimento, questi costi saranno indeducibili per difetto di inerenza, per il fatto che, in mancanza di tale indicazione, il contribuente non potrà dimostrare in sede di contenzioso il contrario.
Quindi, per riassumere, nonostante l’indicazione espressa della targa del veicolo sulle fatture (di tutte le tipologie di costi subordinati) non sia espressamente richiesta da una norma, alla luce di questa ordinanza, prudenza vuole che il veicolo di riferimento sia inequivocabilmente identificato sui documenti giustificativi di spesa, per mettere al sicuro il contribuente dall’ipotesi, affatto remota, dello stralcio fiscale di questi costi, in caso di contestazione.