Il Decreto Salva Casa ha introdotto una serie di novità che semplificano la regolarizzazione di tutte quelle difformità non gravi, che non possono essere assimilate alle nuove tolleranze costruttive e che sono state realizzate in un’epoca in cui il concetto di parziale difformità dal titolo abilitativo non era stato normato.
La portata di questa semplificazione è stata chiarita con le Linee Guida Salva Casa, diffuse dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit) il 30 gennaio.
Abusi edilizi ante 1977, l’ambito della sanatoria semplificata Salva Casa
Per gli interventi realizzati come varianti in corso d’opera che costituiscono parziale difformità dal titolo rilasciato prima del 30 gennaio 1977, data dell’entrata in vigore della legge “Bucalossi” (L. 10/1977) e che non sono riconducibili ai casi delle nuove tolleranze costruttive ed esecutive, la Legge Salva Casa prevede un iter di sanatoria semplificato.
Nella fase dell’applicazione pratica, i Comuni hanno sollevato subito un dubbio. Le Amministrazioni, infatti, non sapevano se l’iter semplificato valesse solo per gli interventi realizzati prima del ’77 o se potesse essere esteso agli interventi successivi, a condizione che riguardassero immobili assentiti prima del ’77.
Le Linee Guida Salva Casa del Mit propendono per l’interpretazione permissiva. Per poter beneficiare dell’iter di sanatoria semplificato, è sufficiente che l’immobile su cui sono state eseguite le varianti sia stato realizzato sulla base di un titolo rilasciato prima del 30 gennaio 1977. Le varianti, invece, possono anche essere state eseguite dopo tale data, purché entro i limiti di validità temporale del titolo che permettono di caratterizzare gli interventi come variante.
Le Linee Guida Salva Casa spiegano inoltre che i Comuni, diversamente da quanto accade nelle ordinarie pratiche di sanatoria, non devono verificare la conformità della variante rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia.
Le Linee Guida Salva Casa forniscono infine chiarimenti sulle sanzioni, illustrando che il cittadino deve pagare una cifra compresa tra i 1.032 e i 10.328 euro, beneficiando del trattamento sanzionatorio di maggior favore già previsto per l’accertamento di conformità degli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA edilizia.
Prima dell’entrata in vigore di tale legge non era disciplinata l’ipotesi di parziale difformità dal titolo, né erano regolate le varianti in corso d’opera, che, quindi, non venivano presentate. La nuova previsione mira, quindi, a farsi carico di questa situazione, che interessa diversi immobili, stante il carattere risalente del patrimonio edilizio italiano.
Come provare la data degli abusi ante 1977
Il Decreto Salva Casa stabilisce un metodo di datazione delle varianti realizzate su edifici assentiti prima del 1977.
Chi intende regolarizzare un abuso realizzato prima del 1977 deve utilizzare i documenti utili a provare lo stato legittimo dell’immobile, cioè il titolo abilitativo che ha previsto la costruzione (o la regolarizzazione in sanatoria) dell’immobile o quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio.
Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, si possono utilizzare le informazioni catastali di primo impianto, le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, gli atti pubblici o privati.
Se non è possibile accertare l’epoca di realizzazione della variante con la documentazione disponibile, un tecnico attesta la data di realizzazione con propria dichiarazione e sotto la propria responsabilità, pena l’applicazione di sanzioni penali in caso di dichiarazioni false o mendaci.
Per sanare gli abusi edilizi ante 77 è necessario seguire la procedura prevista per l’accertamento di conformità.
Decorsi 30 giorni senza che il Comune si sia pronunciato, il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile ottiene comunque la Scia in sanatoria.
Se gli interventi sono stati realizzati in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, il Comune chiede il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, che deve pronunciarsi entro 180 giorni, previo parere della Soprintendenza da rendere entro 90 giorni. Decorsi questi termini, il Comune procede autonomamente.