Il concetto dinamico del rischio, il DVR quale strumento “duttile”, il mutamento delle condizioni di lavoro e le ricadute dell’omesso aggiornamento del DVR sulle misure (tra cui formazione e DPI) nelle pronunce di Cassazione Penale.
Una sentenza di pochi anni fa (Cassazione Penale, Sez.IV, 30 agosto 2018 n.39283) si è pronunciata sulle responsabilità di diversi soggetti per il decesso di quattro lavoratori a seguito dello scoppio di un serbatoio.
Con riferimento in particolare alla posizione dell’RSPP, l’addebito mosso a tale soggetto era “quello di non avere provveduto a segnalare le situazioni di rischio riguardanti l’impianto, inducendo i superiori gerarchici, titolari di altrettante posizioni di garanzia, ad omettere quelle necessarie misure di sicurezza di cui avrebbe dovuto essere dotato il serbatoio.”
Tra i motivi presentati nel suo ricorso in Cassazione, compariva anche quello secondo cui egli “avrebbe dovuto essere mandato esente da responsabilità perché i documenti di valutazione del rischio esistenti nell’azienda […] erano modelli predisposti dalla Direzione della società, che non potevano essere in alcun modo modificati dai sottoscrittori, i quali erano tenuti esclusivamente ad indicare il nominativo delle persone investite delle varie qualifiche e delle funzioni di garanzia.”
Nel ritenere infondata tale argomentazione, la Corte si è soffermata sul tema dell’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi.
In tale occasione la Cassazione ha così chiarito – con riferimento al motivo di ricorso su richiamato – che “è evidente che una simile interpretazione del documento di valutazione del rischio, è ben lontana dalla concezione che di esso si ricava dalla legge: il DVR è uno strumento duttile, suscettibile di essere in ogni momento aggiornato per essere costantemente al passo con le esigenze di prevenzione che si ricavano dalla pratica giornaliera dell’attività lavorativa.”
La Corte ha poi ricordato che “è noto che in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro non solo ha l’obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art.28 del D.Lgs. n.81 del 2008, analizzando ed individuando con il massimo grado di specificità – secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica – tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, ma è tenuto anche a sottoporre a periodico aggiornamento il suddetto documento (ex multis Sez.4, n.20129 del 10/3/2016, Rv.267253).”
Il tema dell’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi, dunque, non è affatto slegato – così come emerge dalla massima giurisprudenziale in ultimo riportata – dal tema della “specificità” delle previsioni contenute nello stesso.
Come sottolineato dalla Cassazione, infatti, “per costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte la specificità delle previsioni contenute nel documento di valutazione sono elemento essenziale nella economia della gestione del rischio facente capo al datore di lavoro.”
Da tutto ciò consegue dunque che “è quindi contraria ad ogni logica giuridica la possibilità di concepire un documento di valutazione dei rischi immodificabile.”
Prendendo le mosse da tali principi (proposti come sempre senza pretese di esaustività) e partendo da tali presupposti, analizziamo ora più nel dettaglio – a mò di esempio – una sentenza in materia.
La necessità di aggiornare il DVR a fronte delle mutate condizioni di lavoro e di adeguare conseguentemente le misure tra cui, in particolare, formazione e DPI (guanti)
In Cassazione Penale, Sez.IV, 31 gennaio 2017 n.4706, la Corte ha preso in esame un caso in cui “la valutazione del rischio effettuata nel 1998 non era più attuale alle contingenze del momento e doveva essere adeguata al mutamento delle condizioni di lavoro”.
In particolare, la Cassazione ha confermato la sentenza che “aveva assolto I.G. [quale direttore di stabilimento, n.d.r.] dal reato di lesioni colpose ai danni del lavoratore RA.A.” (essendo “estinto il reato per intervenuta prescrizione”) e che lo aveva condannato “al risarcimento dei danni in favore della parte civile ed alla rifusione delle spese sostenute in entrambi i gradi di giudizio.”
Nello specifico si era verificato che “a causa del cattivo funzionamento del macchinario per il taglio dei tessuti, il RA.A., insieme ad altri operai, si era dovuto occupare anche del taglio di quelle parti di tessuto che dovevano essere tagliate dalla macchina: aveva allora fatto uso di un taglierino che gli era scivolato e gli aveva procurato una lesione al tendine del dito indice della mano sinistra.”
Dunque “lo I.G., dato l’aumento del rischio connesso alle mutate condizioni di lavoro, avrebbe dovuto istruire l’operaio circa la modalità di lavorazione connessa alle maggiori difficoltà determinate dal guasto della macchina ed integrare i mezzi a disposizione del RA.A. con misure adeguate allo scopo, anche perché si erano in precedenza verificati altri simili incidenti che rendevano l’evento prevedibile.”
Nel rigettare il ricorso di I.G., la Cassazione ha sottolineato come i motivi di ricorso proposti dall’imputato fossero “volti tutti a dimostrare che non vi era stato un mutamento quantitativo o qualitativo delle mansioni del RA.A., tale da imporre al datore di lavoro una nuova valutazione del rischio e conseguentemente una nuova formazione dei lavoratori e l’adozione di nuovi strumenti di protezione”.
Ma tale mutamento in realtà era stato accertato dalla Corte d’Appello, la quale aveva “affermato ai fini civili, atteso il decorso della prescrizione, la responsabilità dello I.G. in relazione all’infortunio occorso al RA.A., sul rilievo che era mutato il livello di pericolosità del lavoro da questi svolto.”
Infatti, in sede d’appello era “stata esclusa la concreta previsione del rischio e conseguentemente la sua corretta gestione e, per altro verso, ogni condotta incongrua del lavoratore”.
A fronte di tale quadro, la Cassazione ricorda che “lo strumento della adeguata valutazione dei rischi è un documento che il datore di lavoro deve elaborare con il massimo grado di specificità, restandone egli garante: l’essenzialità di tale documento deriva con evidenza dal fatto che, senza la piena consapevolezza di tutti i rischi per la sicurezza, non è possibile una adeguata politica antinfortunistica (così, Sez.4, 13.12.2010, n.43786, Cozzini).”
E, fatta tale premessa, la Corte precisa che sulla base degli accertamenti in fatto “le lesioni furono cagionate dal cattivo funzionamento del macchinario, che aveva indotto gli operai ad un lavoro più impegnativo e difficile di quello consueto: essi si dovevano occupare, infatti, anche del taglio di quelle parti di tessuto che dovevano essere tagliate dalla macchina.”
Di conseguenza – secondo la Cassazione – “la considerazione, svolta dai giudici di appello, che tale lavoro fosse oggettivamente più pericoloso del precedente, ed imponesse, come tale, una specifica preparazione sui maggiori rischi connessi al guasto del macchinario e l’adozione di misure di sicurezza adeguate allo scopo, è immune da censure.”
Infatti “il lavoratore era stato all’epoca del suo ingresso in azienda formato sui rischi inerenti la rifilatura manuale di pannelli già sagomati da una macchina tagliatrice: per fare ciò era stato dotato di un guanto di protezione e di un taglierino di piccole dimensioni.”
Ma in seguito “il cattivo funzionamento della macchina aveva reso necessaria un’attività manuale più incisiva ed intensa, in quanto doveva essere impressa nel taglio del pannello una forza maggiore da parte del lavoratore addetto, tanto che il guanto antitaglio era risultato uno strumento di protezione insufficiente, circostanza dimostrata da pregressi simili infortuni verificatisi nonostante l’uso del guanto.”
Di conseguenza “la formazione svolta in passato e la scelta dello strumento individuale di protezione era risultata perciò insufficiente, mentre sarebbe stato necessario – come ben evidenziato dalla Corte di merito – valutare il nuovo e maggiore rischio e considerare l’utilizzo di dispositivi di protezione con caratteristiche diverse, idonee a fronteggiare il mutamento e l’aumento di difficoltà del lavoro connessi al guasto del macchinario.”
Ciò in quanto “per rispettare lo standard giornaliero di produzione l’operazione di taglio manuale era divenuta più impegnativa e più rischiosa, tanto affermano i giudici di appello con argomentazione di logica evidenza.”
Tuttavia – sottolinea la Corte – “a fronte delle mutate condizioni di lavoro lo I.G. è rimasto inerte”.
Al contrario, “per la gestione del taglio aggravato dalla macchina non funzionante occorreva invece una informazione appropriata sullo specifico rischio, doveva essere valutato se l’operazione di taglio dei pannelli (non la semplice rifilatura) potesse essere tutta affidata alla mano dell’uomo e se fossero necessari strumenti diversi dal piccolo cutter in dotazione.”
Dunque – come già anticipato – “la valutazione del rischio effettuata nel 1998 non era più attuale alle contingenze del momento e doveva essere adeguata al mutamento delle condizioni di lavoro.”
Ciò perché “le misure atte a prevenire il rischio di infortuni vanno infatti individuate in ragione delle peculiarità della sede di lavoro e progressivamente adattate in ragione del mutamento delle complessive condizioni di svolgimento delle singole mansioni, secondo un concetto “dinamico” del rischio, che impone l’adeguamento degli strumenti di protezione e l’aggiornamento della formazione ed informazione del lavoratore, ogni qual volta intervenga un rischio nuovo rispetto a quello originariamente previsto.”
E “nel caso in esame il rischio nuovo era dovuto al guasto della macchina tagliatrice.”