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LE RESPONSABILITÀ DEL PREPOSTO IN TERMINI DI SORVEGLIANZA: SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

16 Feb 2022

La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere sul ricorso presentato da un preposto di un’azienda condannato dal Tribunale e dalla Corte di Appello per non avere svolto la sua attività di vigilanza su di un lavoratore rimasto infortunato durante l’utilizzo di un macchinario a causa del suo malfunzionamento.

Nella sentenza con la quale ha dato risposta al ricorso la Suprema Corte ha precisato che l’obbligo, specificamente sancito dall’articolo 19 comma 1 lett. f) del D. Lgs. n. 81/2008, impone al preposto di “segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta”, e lo stesso non può risolversi nell’attesa che le anomalie di funzionamento dei macchinari utilizzati o le modifiche operative da parte degli addetti di schemi lavorativi apprestati per il loro utilizzo siano segnalate da parte di lavoratori o di terzi, posto che ciò comporterebbe un vero e proprio svuotamento del dovere di vigilanza e di sovraintendenza delle lavorazioni, che costituiscono l’essenza stessa delle sue attribuzioni.

Nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso la suprema Corte ha aggiunto che l’esenzione di responsabilità del preposto potrà configurarsi solo ed esclusivamente se il problema verificatosi sul macchinario, e l’incauta modalità di lavoro posta in essere per ovviarvi fossero così recenti rispetto al momento in cui l’infortunio si è verificato da potersi immaginare che entrambi avessero potuto sfuggire al suo controllo continuativo, proprio perché appena manifestatisi. Non è quello che è comunque avvenuto nel caso in esame essendo il malfunzionamento del macchinario presso il quale si era verificato l’evento, noto a tutti nel reparto e essendo stato confermato altresì dalle dichiarazioni rese dai testi ascoltati durante il processo.

Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni
La Corte di Appello ha parzialmente riformata, concedendo il beneficio di cui all’art. 175 cod. pen., la sentenza del Tribunale con la quale il preposto di una azienda era stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 590, comma 2 cod. pen., per avere cagionato, in cooperazione colposa con il responsabile della sicurezza dell’azienda stessa, lesioni personali gravi a una lavoratrice che, a seguito di un intervento di correzione manuale consentito dal malfunzionamento di un elevatore, aveva subito lo schiacciamento del primo dito della mano destra.

Nel giudizio di inammissibilità la Corte di Cassazione ha ricordato che il preposto, ai sensi della previsione di cui all’art. 2 lett. e) del D. Lgs. n. 81/2008, è colui che “in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.

Le competenze normativamente attribuitegli, che delineano l’area di rischio rispetto alla quale egli riveste la posizione di garante, derivano dalla situazione di prossimità alle lavorazioni ed all’opera svolta dai dipendenti. E’ proprio in forza di detta condizione che l’art. 19 dello stesso D. Lgs. n. 81/2008 ha assegnato al preposto il compito di controllo immediato e diretto sull’esecuzione dell’attività da parte dei lavoratori, così come quello sull’eventuale instaurarsi di prassi comportamentali incaute nonché quello su anomalie di funzionamento di macchinari cui gli operatori siano addetti.

La Corte territoriale, ha ancora sottolineato la Sez. IV, si era mossa dalla considerazione che il malfunzionamento della macchina su cui la persona offesa si era infortunata, era noto a tutti nel reparto di lavorazione. Una teste, inoltre, aveva riferito di conoscere il problema e di avere sempre fatto attenzione nell’utilizzo di quell’apparecchiatura, senza avere tuttavia comunicato agli assistenti alcunché, mentre un altro teste che pure aveva sostenuto l’assenza di ogni pericolo, aveva, nondimeno, dichiarato di avere notato un malfunzionamento della macchina che comportava che i lavoratori, erroneamente, dovessero intervenire con una mano, operazione appunto compiuta dall’infortunata e sfociata poi nello schiacciamento del primo dito della mano destra.

E’ stato dunque per l’omissione della vigilanza, ha così concluso la Corte di Cassazione, che i giudici di primo e secondo grado avevano ascritto la responsabilità al preposto al quale avevano imputato di non avere verificato il malfunzionamento del macchinario ed il suo utilizzo con modalità incongrue, pur rientrando tale controllo nell’esercizio dei compiti propri della figura di garanzia e ad esso conseguendo il dovere di segnalazione al datore di lavoro. Né si poteva sostenere, infine, come ha fatto il ricorrente, che il fatto sia stato addebitato a titolo di responsabilità oggettiva, in forza della posizione ricoperta, perché la condotta colposa era stata precisamente individuata e non era stata posta in dubbio la sua natura di condizione dell’evento infortunistico verificatosi.

Considerata quindi l’inammissibilità del ricorso la Corte di Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di 3000 euro in favore della cassa delle ammende.

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